31 agosto, venti anni fa.
La sfida inizia prima di cominciare.
Genova è una città bella e terrificante. La sopraelevata, una barriera che mi sfianca, un incubo fra me e il mare.
Volevo scendere a vedere le barche. Da su scorgevo gli alberi, e intuivo le marine. Un unico passaggio ripido e angusto per raggiungerle, una scalinata a tratti chiusa, tetra, poco rassicurante. In un tratto cieco mi trovo davanti un ragazzo enorme con una siringa in mano, ha un vistoso cerotto al naso e occhi spenti e spaventati. Ha paura. Ho paura.
E’ da un po’ che ho di nuovo paura, passerà?
E’ uno degli effetti di questa nuova vita, di questo nuovo tempo, di questo nuovo io che non so ancora bene cos’è, com’è.
Avrò paura anche in mare, sul barchino?
Al varco di levante ho avuto una percezione di inferno, di fine, di vivere dentro il delirio di quella disperazione. Sono rimasto scosso.
Il grosso tossico si è tirato su dal gradino, poco più in là una pozza di diarrea. Una puzza tremenda. Siringa in mano è corso via spaventato venendomi incontro, oltrepassandomi per guadagnare la salita, la città.
Si è spaventato. Cos’è la paura che ha avuto? Chi ero io per lui? Lo specchio della sua desolazione? Forse solo uno che lo aveva beccato.
[qualche ora e chilometro dopo]
Adesso cercherò di raggiungere il traghetto in questo casino che è l’area portuale. Quanto alle barche e al marina che vedevo dalla sopraelevata, non c’è stato verso di raggiungerle. Terreno interdetto, minato, tutto sbarrato, tetro, sporco, angusto, pericoloso. Keep out!
E continuo a macinare strada con le ginocchia doloranti che mi portano fino a una parte accessibile e accogliente. Il porto antico.
Barche da raggiungere, il cuore si fionda, il resto del corpo ci prova, l’incedere sempre più claudicante.
Grandi coincidenze? Piccole coincidenze?
La via è intitolata a De Andrè.
Una barca attira la mia attenzione, quando mi rendo conto che è il Moro di Venezia sobbalzo e mi imbambolo a guardarla, e a ricordare.
Poi mi riscuoto, mi giro e quasi non riesco a crederci!
Accanto, proprio accanto c’è ormeggiata l’ultima barca di Simone Bianchetti.
Enorme e solitaria, solitari lei e Simone. Simone che non c’è più.
[qualche ora dopo]
E’ sera, il traghetto si avvicina alla banchina, un condominio in manovra che mi porterà in Sardegna dove salterò a bordo di un barchino di sei metri e mezzo da portare a Porto Venere.
Danno tempo brutto, mala tempora currunt, ma non chiedo di meglio.