Cani a Valparaiso
Con gli occhi aperti, con le orecchie aperte, con la pelle tesa per il freddo e per l’amore che mi rimane sempre addosso per un po’, attraverso la strada buia che taglia questa piccola cittadina di montagna scomparsa nella notte.
Con i sensi pronti a discernere, a captare, cerco poliritmi nel forsennato linguaggio dei grilli senza trovarli mai. Forse perché non ci sono, forse perché non li so capire o forse perché l’anima riposa già nel cuscino della notte che riappacifica, vede le cose una alla volta e stempera la matassa del passato. Un’immagine alla volta, un passo per volta, un suono dopo l’altro; notte che placa, buio che occulta, pace, riposo, quiete, requie.
Il paese è alle spalle, mi addentro nella notte.
Ogni tanto un latrare di cani mi fa sussultare, mi inquieta, e mi tornano alla mente i racconti di Leo sui cani di Valparaiso, così affamati da sbranare la gente per strada, così affamati da sbranarsi anche fra loro (trappola circolare della fame, gioco obliquo di sopravvivenza e morte).
Passa un’ auto, passa veloce, per nulla metafisica, tutta massa e inerzia, nera di buio, ignara della vita microscopica che vive nei suoi pneumatici, ignara di sfiorare il mio destino.
E’ passata e non ha lasciato tracce in questo luogo fermo.
Credo.